Talvolta i nostri comportamenti nel RnS potrebbero rischiare di assomigliare a una impostazione di tipo aziendale, dove sono presenti strutture gerarchiche con competenze specifiche, dove tutti sanno che cosa devono fare, come lo devono fare, e ne rispondono. Ma il RnS non è una azienda! Il RnS è corpo mistico di Cristo perché è movimento ecclesiale. L’immagine dell’orchestra è quella più opportuna per rappresentarlo: in un'orchestra c’è uno spartito, c’è un direttore e ci sono strumenti che eseguono tutti corresponsabilmente lo stesso spartito. Questo significa che nell’interpretazione dei nostri ruoli pastorali dobbiamo tenere ben presente che non viviamo a compartimenti stagni, ma c’è un’interdipendenza esistenziale, non organizzativa: il RnS dipende da tutti non da qualcuno; non possiamo vivere un RnS a compartimenti stagni, soprattutto per quanto concerne la responsabilità. Quello che Papa Francesco ci ha detto in modo poetico, usando l'immagine dell'orchestra, noi l’avevamo già esplicitato nel Regolamento attuativo.
Nel nuovo Regolamento diciamo esplicitamente che le linee fondamentali del servizio pastorale devono essere svolte ai singoli livelli - locale(gruppo e comunità), regionale, nazionale - così come definito nello Statuto, mantenendosi ciascuno nel proprio ambito e rispettando il principio di sussidiarietà, uno dei principi cardine della Dottrina sociale della Chiesa. Il principio di sussidiarietà vuole che ciascuno si muova nel proprio ambito facendo in modo che l’altro espliciti bene la sua vocazione e non sostituendosi all’altro né verso il basso né verso l’alto. Non sono in gioco dunque le competenze ma la comunione, che è una cosa completamente diversa, affinché ciascun livello pastorale possa operare nel rispetto delle proprie competenze e facoltà, fatto sempre salvo il riconoscimento del bene comune che è l’obiettivo di tutti.
Gli Organi superiori possono agire in termini suppletivi di guida, di vigilanza, di accompagnamento, di verifica, di esortazione e di correzione fraterna. L’Organo superiore ha sempre questo compito, che non si esprime nell’effettuare una censura verso il basso, quanto nel fare in modo che i livelli inferiori facciano le cose che sono chiamati a fare: questa è la nostra attività di accompagnamento e di verifica.
Gruppi RnS, le quattro caratteristiche
Il Rinnovamento si vive e si fa nei gruppi, il nostro livello - quello di responsabili - non è il livello di vita ed esperienza del Rinnovamento. Noi siamo Rinnovamento nella misura in cui viviamo nei nostri gruppi di appartenenza. Ci sono quattro elementi che identificano in maniera corretta un gruppo di Rinnovamento, elementi che si trovano nello Statuto e nel Regolamento:
- la realtà locale, intesa come gruppo o comunità, è il luogo dove c'è l'esperienza dell'effusione dello Spirito e dei carismi.
- Il gruppo è il luogo della conversione permanente, di un cammino di vita nuova. Conversione permanente vuol dire che tutti i giorni che Dio manda in terra si ricomincia da capo il cammino verso la conversione, e dunque si vive un cammino di vita nuova.
- Il gruppo è il luogo del discepolato e della formazione. Noi abbiamo il compito di far sì che i nostri gruppi diventino il luogo del discepolato e della formazione. Abbiamo una folla immensa che dobbiamo in qualche maniera coinvolgere e convincere ad avvicinarsi a Gesù vivo.
- Il gruppo è il luogo della vita fraterna, il luogo dove si sperimenta veramente cosa vuol dire stare insieme. E stare insieme non significa andare a mangiare una pizza una volta ogni tanto - sebbene sia un ottimo metodo per socializzare - ma è innanzitutto stimarsi a vicenda, conoscere il fratello.
Come nasce un gruppo?
Il gruppo nasce per volontà di Dio. È il Signore che chiama, è il Signore che crea le condizioni. A volte il gruppo può nascere - in passato avveniva così - per gemmazione da un gruppo madre: alcune persone decidono di formare un gruppo in una nuova parrocchia, in una nuova sede e radunano attorno a sé nuove persone. A volte è il parroco che chiede di andare in una parrocchia a fare una missione, un Seminario di vita nuova; ma tutte queste iniziative sarebbero vanificate se mancasse la volontà di Dio: «Se il Signore non costruisce la casa invano si affaticano i costruttori» (Sal 127, 1). È importante sottolineare che un gruppo che nasce in una parrocchia su richiesta del parroco non è un gruppo al servizio del parroco; il parroco non ha nessuna primazia né può pretendere di gestire in modo diretto le dinamiche proprie del gruppo stesso quando lui stesso ne è privo di esperienza.
Come viene riconosciuto un gruppo?
Una volta che ha iniziato il suo cammino, si è riunito e ha iniziato a pregare, il gruppo viene immesso nei cosiddetti "gruppi in formazione", incomincia cioè a formarsi, a far sì che le sue quattro dimensioni tipiche - luogo in cui si fa l'esperienza dei carismi, luogo della conversione permanente, della formazione, della vita fraterna - maturino, crescano: si comincia a pregare insieme, a vivere una vita fraterna e di conversione. È un processo che può durare poche settimane, pochi mesi o un po' di più; dipende dalle persone e da tanti fattori che non possono essere codificati. Certamente un gruppo non può rimanere in formazione per troppo tempo. Chi riconosce il gruppo è il Comitato regionale di servizio grazie anche a chi questo gruppo lo ha assistito nel percorso di formazione, dunque il Comitato diocesano o il coordinatore diocesano o un anziano che vive in prossimità del gruppo.
Cosa significa che un gruppo è assistito?
Può accadere che vengano a mancare una o più delle quattro caratteristiche proprie di un gruppo per cui quel gruppo perde la sua vita di preghiera o il suo momento di formazione, quindi l'identità e il senso di appartenenza. Va allora aiutato a recuperare ciò che per vari motivi ha perduto; in questo caso entrano in gioco tutti quegli Organismi - il Comitato regionale in primis, aiutato dai diocesani e dagli anziani - che mettono in moto iniziative volte ad aiutare i fratelli. Ci si dà dei tempi, di solito alcuni mesi - non possono essere tempi "biblici" - per cercare di recuperare il salvabile e cercare di riportare il gruppo nel suo ambiente naturale perché possa essere di nuovo considerato un gruppo del Rinnovamento. L'importante è focalizzare l'attenzione sull'identità dei gruppi e delle comunità del Rinnovamento: tutti
dobbiamo tendere a realizzare nelle nostre diocesi, nelle nostre regioni, dei gruppi che siano veramente gruppi del Rinnovamento.
Il principio di sussidiarietà dei livelli pastorali
Una delle prime cose che i Consigli e i Comitati regionali neoeletti si trovano a gestire sono i gruppi e le comunità: la realtà locale. Il nostro servizio al Rinnovamento è un servizio a favore dei gruppi e delle comunità, l'esperienza del Rinnovamento si fa nei gruppi e nelle comunità; non sono né i ministeri, né gli Organi pastorali i luoghi in cui si vive il Rinnovamento, piuttosto ministeri e Organi pastorali sono i luoghi nei quali noi raccogliamo i frutti del cammino del Rinnovamento. E’ importante ricentrare la nostra attività pastorale non tanto nel governo dei problemi dei gruppi, ma nella missione carismatica dei gruppi, e in questo senso è necessaria una conversione pastorale di tante realtà che non vivono assolutamente la dimensione del Rinnovamento secondo le quattro definizioni e le sei consegne di Papa Francesco, che sono diventate strumento di discernimento.
Livello diocesano
Il livello diocesano è il livello della diffusione della vita concreta della corrente di grazia. Molti idealizzano la corrente di grazia identificandola con l'idea che si può fare quello che si vuole in quanto lo Spirito è libero. Ma non è questa la corrente di grazia, questo è piuttosto un desiderio che si ispira a un criterio di libertà assolutamente non spirituale. San Paolo ci dice che la libertà non è libertinaggio. Lo Spirito è ordine, anche se è creativo e fa nuove tutte le cose. Riguardando la vita concreta della corrente di grazia, il livello diocesano sostiene, promuove e da impulso ai del Seminari di vita nuova ad intra o promosso ad extra, in altri ambienti, quindi dell'inserimento nella vita ecclesiale diocesana e parrocchiale, luogo di esperienza per ambiti giovani, sacerdoti e famiglie. Il livello diocesano non è il luogo della formazione, ma il luogo dell'esperienza e della comunione per l'evangelizzazione delle realtà locali.
Ogni gruppo e comunità gode della sua autonomia in relazione al proprio cammino di fede, alla formazione, alla vita fraterna e all'attività di evangelizzazione. Il Rinnovamento non è un esercito, non siamo tutti uguali e le storie variano da territorio a territorio, da esperienza a esperienza, da regione a regione. È chiaro però che ogni gruppo, pur avendo una sua vita autonoma, non è indipendente. Attenzione, perché il termine "autonomia" molto spesso viene confuso: per autonomia intendiamo la capacità di un gruppo singolo di autodeterminarsi nel cammino interno, ma non di autodeterminarsi rispetto al cammino del Movimento; sono due cose completamente diverse. Chi governa le situazioni del gruppo non è il livello diocesano, è quello pastorale, ma il diocesano interviene quando questo gruppo cammina fuori dalle linee del Rinnovamento perché a quel punto la sua non è più autonomia ma indipendenza. È auspicabile che ciascun gruppo e comunità abbia fra le sue iniziative, concretamente e non come mero auspicio, l'avvio di un gruppo nuovo: ciò fa capire che un gruppo vive effettivamente l'Effusione pentecostale dello Spirito Santo. Non può esistere un gruppo che non abbia la passione, il fuoco, il desiderio di contagiare altri, di portare altrove l'esperienza del Rinnovamento.
Il Consiglio diocesano
Il Consiglio diocesano è il luogo della comunione tra le realtà per le comuni attività di evangelizzazione; non è un luogo di discernimento (o addirittura di scelta) in relazione agli orientamenti generali dati dal Movimento perché il luogo del discernimento che la Chiesa ha voluto che noi avessimo - in realtà lo abbiamo da sempre - è il Consiglio nazionale.
Gli orientamenti generali, le scelte, possono piacere o non piacere ma attenzione a non instaurare nel Rinnovamento una dimensione di Chiesa "assemblearista", che nella storia della Chiesa non è mai esistita. La Chiesa non è democratica, è teocratica, e nelle sue dimensioni gerarchica e carismatica vigono la parola di Dio e il Magistero. Papa Francesco ci ha detto allo Stadio Olimpico, l'1 giugno 2014: «Avete una guida sicura nei documenti di Malines»; il CN non può travalicare questi orientamenti o le parole profetiche che ci hanno rivolto Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Né possiamo travalicare la storia che ci è stata tramandata da don Dino Foglio, da padre Mario Pancera, da padre Matteo La Grua, tra i padri del Rinnovamento in Italia. Il Rinnovamento ci precede e, ringraziando Dio, continuerà dopo di noi; noi siamo chiamati ad accoglierne la storia, a custodirla e a rigenerarla secondo la contemporaneità di quello che lo Spirito dice oggi alla Chiesa.
Il Comitato diocesano
Il livello diocesano è rappresentato da tutto il Consiglio diocesano. Il Consiglio ha un organo di impulso, di indirizzo propulsivo che è il Comitato diocesano. Quest'ultimo favorisce la comunione a livello diocesano, quindi le relazioni tra le realtà locali. È un organo di promozione e sostegno delle comuni attività di evangelizzazione, dell'identità carismatica del Rinnovamento nella diocesi; non è un Organo pastorale in modo proprio e diretto, la sua attività pastorale è sussidiaria e delegata dal CRS con il quale è in costante collegamento e comunione: questo è un elemento fondamentale. Il Comitato diocesano non è un Organo deputato al presidio della formazione della vita ministeriale; il coordinatore diocesano, infine, rappresenta il Rinnovamento verso la Chiesa locale.
Pensando alla differenza fra principio di sussidiarietà e azione comunionale e principi invece di funzionalità e di competenza - trappole tremende che spesso scattano - si capisce cosa significa che il Comitato diocesano non è un Organo pastorale. Significa che si deve disinteressare della vita dei gruppi? No, ma la sua preoccupazione principale non è entrare nelle questioni pastorali dei gruppi perché per il principio di sussidiarietà le questioni pastorali dei gruppi devono affrontarle i pastorali di servizio, non il Comitato diocesano. Il Comitato diocesano, nel favorire la comunione e l'avvio delle attività di evangelizzazione, avrà certamente anche una attività pastorale ma in quanto delegata e sussidiaria del livello regionale.
Per questo, sono necessarie relazioni di comunione costanti fra il livello diocesano e il livello regionale; deve esserci una continua interlocuzione su quello che si fa o che non si fa, nella consapevolezza che il Comitato regionale ha anche il diritto-dovere di dire al Comitato diocesano che magari una certa cosa non la deve fare, e non perché non sta rispettando le competenze ma perché rischia di ledere il principio di comunione. Questo concetto deve essere molto chiaro perché è fondamentale; è un principio di relazione a guidarci, non un principio aziendale, organico, funzionale.
Il diocesano ha un'altra attività rispetto a quella regionale: la diffusione della grazia del Rinnovamento, ma è chiaro che nel diffondere la grazia del Rinnovamento dovrà anche preoccuparsi della comunione nella diocesi e nel preoccuparsi della comunione nella diocesi inevitabilmente si preoccuperà anche di alcune dimensioni pastorali, anche se non sono la sua principale attività.
I nostri livelli pastorali sono ripiegati sui problemi, e questa è una tentazione demoniaca: è il demonio che mantiene la palla al piede che ci impedisce di camminare, di evangelizzare. Un diocesano deve certo preoccuparsi di un gruppo che va male, ma la ricerca della soluzione del problema non può ricadere solo su di lui, anzi il suo compito è mettere in condizione il pastorale di risolverlo e quando il pastorale non è in grado di risolverlo, in relazione con il Comitato regionale è da decidere l'assistenza del gruppo: questa è una relazione comunionale, non di competenza. Attenzione a non farci "congelare" nell'attività di risoluzione dei problemi; il luogo dei problemi e della loro soluzione è altrove: nel livello pastorale o in quello regionale.
Livello regionale
Gli Organi pastorali del livello regionale sono tre:
- Consiglio regionale,
- Comitato regionale,
- coordinatore regionale.
Se il livello diocesano è al servizio della diffusione dell'esperienza carismatica, il livello regionale è al servizio dell’unità e della comunione. È un livello di raccordo comunionale, pastorale, organizzativo e ministeriale tra Consiglio nazionale, diocesi e gruppi. La scelta del CN nello scorso mandato è stata di confermare e consolidare l'importanza di tale livello perché qualcuno aveva proposto di abolire i regionali e fare il Comitato regionale attraverso i coordinatori diocesani. Abbiamo capito, nel nostro discernimento, che non funziona perché diocesano e regionale sono due livelli con due missioni completamente diverse. Quello regionale non è un livello federativo; ci può essere un’autonomia creativa nella realizzazione delle linee e degli orientamenti generali del RnS ma non ci si deve muovere da queste linee, altrimenti si rompe la comunione.
Consiglio e Comitato regionale
Tra Comitato e Consiglio regionale ci sono una dialettica e un processo di discernimento il cui principio è «esaminate tutto e tenete ciò che è buono» (cf 1 Ts 5, 21). Il Comitato regionale ha un ruolo profetico che in realtà è proprio di tutti e tre i Comitati: diocesano, regionale, nazionale; più il Comitato sale di livello più il ruolo profetico aumenta. A tutti e tre i livelli il Comitato ha un ruolo di impulso, ha un ruolo profetico, ha un ruolo di proposta, ha un ruolo istruttorio. Il Consiglio invece accoglie, discerne, modifica, amplia, restringe.
Il Consiglio regionale è il luogo deliberativo dell’attuazione dei programmi decisi dal CN e in generale di tutte le attività regionali. Non è il Comitato che decide, è il Consiglio, e non lo fa mai in modo assemblearistico, ma sempre in modo profetico.
Abbiamo deciso, in via sperimentale, una piccola modifica nella composizione del Comitato regionale: abbiamo chiesto che al suo interno il Comitato regionale vada a presidiare, con delle figure appositamente dedicate, quattro aree: Carismatica, Pastorale, Formativa, di Evangelizzazione. Si tratta di aree pastorali, non di aree ministeriali, il che significa che esse sono il cuore della vita del Comitato regionale. Un Comitato regionale deve avere a cuore l’area Carismatica, i Seminari di vita nuova, i ministeri di animazione carismatica, la diffusione dell’esperienza della spiritualità carismatica. Progetto unitario di formazione, supporto nella verifica, nei compiti formativi dei gruppi e delle comunità. E ancora, ambiti di evangelizzazione (giovani, sacerdoti, famiglie), progetti di evangelizzazione regionali e diocesani, progetti di promozione umana e sociale, organizzazione, appartenenza, diffusione Rivista, eventi nazionali e regionali, Sostegno fraterno, Patto d’amore, editoria e segreteria. Una regione anche su questi aspetti deve avere un presidio, non può non interessarsene. Vorremmo che all’interno del Comitato regionale ogni membro - eccetto il coordinatore regionale che deve interessarsi di tutte e quattro le aree - presidi un'area. Presidiare non significa gestire, non significa che quell'area è esclusivamente compito di chi la presidia.
Un Comitato regionale di servizio avvia le attività regionali, quindi programma, sempre conseguentemente alla programmazione nazionale; favorisce la partecipazione alle attività formative proprie del Movimento, favorisce il sostegno economico necessario alla vita associativa - questo è un dato importante: il Comitato regionale favorisce, anzi gestisce con la diligenza di un buon padre di famiglia le risorse economiche. Individua i ministeri di cui si avverte la reale necessità, nomina i delegati regionali, affianca ai delegati un’équipe di sostegno e condivisione del lavoro.
Il Comitato regionale riconosce le realtà locali per le quali, su proposta del Comitato diocesano di servizio - per questo è necessario che i livelli pastorali dialoghino tra loro -, si evidenzia la necessità di operare una verifica generalizzata dell’identità carismatica ed ecclesiale. Realtà locali che hanno perso completamente l’identità, che sono diventate devozionali o di vaga ispirazione al RnS.
Il Comitato regionale di servizio è corresponsabile con il coordinatore nell’attuazione dei programmi e delle iniziative decise dai competenti Organi a livello nazionale, deliberate a livello regionale. Pertanto il Comitato regionale è sempre un Organo collegiale; le aree non sono compartimenti separati, tra loro c'è una forte interdipendenza e non si lascia delega in bianco, sugli aspetti della vita nelle regioni, né al CRS né a eventuali delegati.
Gli incontri di Consiglio e Comitato regionale
La vita di un Consiglio e la vita di un Comitato hanno bisogno di tempo. Questo significa che gli incontri dei Consigli e dei Comitati devono essere vissuti con grande libertà di tempo, con capacità di istruire previamente gli argomenti, che devono avere sempre un documento scritto di riferimento perché a voce, pur con tutta la buona volontà, è sempre difficile non disperdersi. Non si arrivi mai a un incontro di Consiglio regionale senza che un Comitato regionale abbia già esaminato i punti da affrontare e sappia cosa dire su quei punti. Un buon incontro di Consiglio regionale deve durare un intero giorno. Nell'intera giornata di incontro del Consiglio ci si dedichi per metà del tempo a condividere gli orientamenti nazionali e per l'altra metà a capire come "sta camminando" la regione, decidendo le cose più importanti che poi il Comitato regionale dovrà portare avanti. Il Comitato regionale porta uno stimolo, una provocazione, un’idea, una profezia; se ci sono condivisione e dialogo, si sceglie.
La necessità delle verifiche:
un elemento indispensabile della vita comunitaria e spirituale è la verifica del cammino effettuato. Se nel gruppo/comunità tale verifica è condotta dal Pastorale di Servizio, in comunione con gli anziani e l’assemblea degli aderenti in modo periodico e costante, per i livelli di responsabilità pastorale si pone la necessità di individuare un tempo preciso e anche una metodologia chiara. Per tale ragione, la verifica pastorale nel RnS è avviata in modo fraterno a partire dal CnS con i Comitati Regionali di Servizio (ordinariamente nei mesi di Febbraio e Marzo di ogni anno), in un tempo idoneo di tre giorni dove il CnS passa in rassegna con il Comitato Regionale di Servizio ogni aspetto della vita del Rinnovamento in quella regione, a partire dalla sua identità di Corrente di Grazia, per poi esaminare come nella stessa regione si incarna concretamente nella vita ecclesiale il “movimento”, senza trascurare anche gli inevitabili aspetti organizzativi e associativi legati alla nostra presenza nella storia e nella società.
Di seguito i Comitati Regionali, a partire dagli orientamenti e dalle indicazioni emergenti nelle verifiche con il CnS, devono avviare nei mesi successivi (Marzo/Aprile/Maggio) le verifiche con i Comitati Diocesani di Servizio (dove costituiti, o in mancanza con i Consigli Diocesani). Anche in queste verifiche, di carattere fraterno, i CrS avranno modo di approfondire lo stato del RnS nelle Diocesi e l’aderenza alle linee generali della vita del RnS, la identità carismatica testimoniata, la capacità di permeare la vita ecclesiale della spiritualità carismatica di cui siamo portatori.
Terminata questa fase, sempre con analogo metodo di vicinanza fraterna e di parresia evangelica, i Comitati Diocesani avranno cura di effettuare una verifica presso i gruppi della propria Diocesi (uno ad uno), incontrandone i Pastorali, con un tempo congruo di ascolto e di accompagnamento, da favorire anche eventualmente con il supporto di qualche membro di CrS (preferibilmente entro il mese di Giugno).
Sarà cura del CnS favorire la diffusione a tutti i livelli di agili strumenti di supporto alle verifiche. Sarebbe opportuno terminata la fase delle verifiche che ogni livello pastorale possa raccogliere il lavoro effettuato in un documento riassuntivo della situazione con criticità e azioni da porre in essere.
Se non nascerà una fraternità di responsabili inevitabilmente ciascuno comincerà a parlare in termini di competenze e non in termini di comunione. Fraternità di responsabili significa relazioni costanti che esulano dagli incontri di Comitato e di Consiglio. Questo continuo scambio non va fatto soltanto verso l’alto, ma anche verso il basso, il che significa che i coordinatori regionali non devono aspettare gli incontri di Consiglio regionale per parlare con i coordinatori diocesani, ma devono chiamarli spesso per sapere come stanno procedendo le cose. Così a loro volta devono fare i coordinatori diocesani con i coordinatori di gruppo. La comunione tra i responsabili si basa su relazioni di amicizia, di fraternità che fanno superare tutti gli ostacoli burocratici e legalisti: o noi ci apriamo a una grande capacità di fraternità e comunione o i nostri ruoli rimarranno ingessati e non saremo più dei Comitati di servizio ma degli enti preposti all’organizzazione, cosa che né lo Spirito Santo né la Chiesa, e neanche noi, vogliamo.