Infatti è lo Spirito che ci consente di guardare a quanto ci accade per mezzo della nostra intelligenza ma con occhi luminosi, ci aiuta cioè a far luce fino ad arrivare a comprendere che, in ogni circostanza della nostra vita, non è tanto importante la decisione da prendere, quanto che si facciano le cose nella libera adesione a Dio.
In pratica per un buon discernimento è sufficiente desiderare di sintonizzarsi con il Suo amore e con la Sua volontà, qualunque sia la nostra condizione di partenza, il resto è solo conseguenziale.
Don Luigi Maria Epicoco, nell'insegnamento “La depressione: cos'è e come combatterla”, reperibile in rete, sostiene che una delle funzioni del discernimento è anche quella di insegnarci ad attraversare le nostre tempeste, rendendoci consapevoli della realtà vera, oggettiva della nostra condizione, delle ragioni vere che, ad esempio, hanno scatenato in noi quel sentimento di vuoto, di mancanza di senso che chiamiamo depressione e che può avere pesantissime conseguenze sul piano spirituale.
Il discernimento ci aiuta a valutare la situazione, a capirne le cause per trovare la strada da percorrere, le scelte da fare, le decisioni da prendere, le persone da cui farsi eventualmente aiutare per risanare, con Gesù, queste situazioni di sofferenza.
Come ci ha insegnato San Paolo, se si ammala l'anima anche lo spirito e il corpo si possono ammalare e viceversa, quindi non possiamo mai prescindere dal tenere ben presenti entrambe le dimensioni, psicologica e spirituale, quando parliamo di discernimento nelle situazioni di sofferenza, perché l’intera nostra vita è strutturata dalle emozioni e dai sentimenti che proviamo.
Noi non abbiamo alcun potere sulle nostre emozioni ed è per questa ragione che sono definite “neutre”, non ci sono buone emozioni, cattive emozioni, nascono tutte dall'impatto con la realtà e durano molto poco. La nostra responsabilità spirituale riguarda solo l'eventuale uso che potremmo fare dell'emozione provata.
Il sentimento invece, secondo Epicoco, può essere addirittura stabile, può accompagnarci per l’intera nostra esistenza, è l'interpretazione personale che diamo alla realtà, è lettura della realtà attorno alla quale costruiamo la nostra vita, la strutturiamo, quindi presuppone un pensiero sottostante: c'è un’attività logica che ha fatto nascere il sentimento, ed è questa che va riconosciuta quando vogliamo capire il perché di un qualcosa che proviamo e che non ci sappiamo spiegare, o che non vorremmo provare più.
In realtà, prosegue il nostro autore, i pensieri che strutturano la nostra vita, i pensieri che ci spingono all'interpretazione della realtà in un modo piuttosto che in un altro, non sono molti e sono originati da Dio, dalle forze del male o dalle ferite della nostra storia personale.
Ci è facile, allora, comprendere che è possibile fare discernimento solo se ci mettiamo in preghiera perché solo in preghiera possiamo riconoscere l'origine vera dei sentimenti che proviamo.
È una preghiera diversa da qualsiasi altra forma nella quale siamo comunque noi protagonisti, perché è preghiera del silenzio, dell'ascolto, dell'attenzione, dell'accorgersi delle cose: “lascia che le cose dicano”, sostiene Epicoco.
È preghiera contemplativa.
Diventa preghiera l’accorgersi di quello che accade dentro di noi e il cercare di capire da dove viene. Non è facile perché in genere abbiamo paura del silenzio e lo esorcizziamo riempiendolo di parole, ma non è facile anche perché dentro di noi niente è netto, lo stesso male si traveste da bene e quindi diventa difficile riconoscerlo per quello che è.
Ma c'è anche un male che è stato seminato dalle cose che ci sono accadute, è il più diffuso, questo significa che i nostri sentimenti negativi, oltre a poter essere determinati da un male che deve essere riconosciuto e da cui dobbiamo essere liberati, sono soprattutto determinati da un male da cui dobbiamo essere guariti.
Di solito riconosciamo i sentimenti che vengono da Dio per la consolazione che proviamo, ma è bene chiarire subito che anche il suo contrario, la desolazione, può essere determinata da Dio e ha in questo caso una funzione pedagogica, serve per insegnarci qualcosa, per indirizzarci verso un cammino diverso da quello che stiamo percorrendo, anche se, in linea di massima, la desolazione è per lo più conseguente all'azione del male in noi.
Quanto più ci “alleniamo” a osservarci, a guardarci dentro, tanto più ci diventa facile riconoscere se la desolazione ci viene da Dio, se è Dio che ci sta parlando attraverso quella tristezza, oppure se viene dalla nostra storia. Possiamo imparare a distinguerle perché Dio non ci umilia mai, la desolazione che viene da Lui ci fa male, ma non ci toglie la voglia di vivere, quando invece ci spinge verso la morte (in senso reale, con pensieri di suicidio, o figurato, con una progressiva rarefazione dei rapporti interpersonali) quella tristezza sicuramente non viene da Dio.
La medesima tristezza o ci fa convertire, ci spinge cioè a cambiare vita, o spegne ogni desiderio di vita.
Abbiamo due esempi in questo senso, Pietro e Giuda, tutti e due travolti dallo stesso dolore per aver tradito Gesù, solo che Pietro reagisce con la decisione di non sottrarsi più alla testimonianza, Giuda invece si toglie la vita.
Allora, se ciò che ci accade ci inchioda, fa crescere in noi un desiderio di morte, dobbiamo “agire contro” perché viene dal demonio.
Questa consapevolezza è il frutto del discernimento e solo da qui può partire la nostra rinascita.
Facciamo attenzione su un punto fondamentale: secondo Epicoco quello che il demonio ci dice è verità, perché il demonio dice sempre la verità ma ce la dice come menzogna, ci fornisce cioè la chiave di lettura sbagliata.
C'è differenza tra bugia e menzogna, la bugia è raccontare qualcosa di completamente inventato, la menzogna è dire la verità con una interpretazione volutamente sbagliata. Quella del demonio è la verità dell'accusatore.
Ma il demonio non può toccare la nostra anima, può agire solo mediante i pensieri, in questo caso fornendoci chiavi di lettura sbagliate della realtà.
Quindi mai ancorarsi a quello che ci passa per la mente come certezza assoluta ma dovremmo cercare di rimanere disponibili alla verifica e all'eventuale cambiamento di idea, soprattutto nelle relazioni interpersonali, e prenderci tutto il tempo necessario per un discernimento autentico.
È consolante sapere che Dio “perde tempo” volentieri con noi: proprio perché le decisioni di vita vengono fuori dalla sua grazia e dalla nostra libertà, ci lascia tutto il tempo che occorre per costruire con Lui una risposta risolutiva, per trovare con Lui una soluzione che porta al bene per noi, per imboccare la strada giusta in ogni circostanza.
Facciamo però attenzione che i tempi non si allunghino a dismisura perché potrebbe anche succedere che il discernimento serva da schermo, sia usato inconsciamente per rimanere in uno stato di non-decisione che nasconde l'impossibilità di operare una scelta a causa di un ancora più profondo disagio psicologico.
Ancora una volta è la consapevolezza, ma a volte anche solo il sospetto di poter avere un problema, il primo passo verso quella guarigione che ci consentirà, con fatica, con gli aiuti giusti, di aderire con autentica libertà all'amore di Dio e costruire con Lui quel progetto per il quale ci ha chiamato alla vita.