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La follia alcolica

La follia alcolica: l'illusione del benessere, la morte nel bicchiere del conforto.

La follia alcolica: l'illusione del benessere, la morte nel bicchiere del conforto.“Per chi i guai? Per chi i lamenti? Per chi i litigi? Per chi i gemiti? Per chi le percosse per futili motivi? A chi gli occhi torbidi? Per quelli che si perdono dietro al vino, per quelli che assaporano bevande inebrianti. Non guardare il vino come rosseggia, come scintilla nella coppa o come scorre morbidamente, finirà per morderti come un serpente e pungerti come una vipera. Allora i tuoi occhi vedranno cose strane e la tua mente dirà cose sconnesse.

Ti parrà di giacere in alto mare o di giacere in cima all'albero maestro. Mi hanno picchiato ma non sento male. Mi hanno bastonato ma non me ne sono accorto. Quando mi sveglierò? Ne chiederò dell'altro!” (Pr. 23, 29-35).Questa Parola del Signore basterebbe da sola a dire tutto ciò che c'è da sapere sull'abuso di alcool e sulla dipendenza che ne deriva: nonostante i litigi, gli insulti, le percosse, la sofferenza fisica e psicologica legata agli effetti della sbronza, il nostro ubriaco lo sa e lo dichiara: “...Ne chiederò dell'altro…”!Naturalmente parliamo di abuso perché in realtà il vino, nella tradizione ebraica adottata in seguito dal Cristianesimo, è invece elemento santificatore. Nella Bibbia è simbolo di gioia e di vita, la vite stessa è considerata albero messianico. “Israele è terra di vigneti e di vino, dove la vite, la vigna e il vino sono  espressioni dell'abbondanza e della prosperità, quindi di vita buona (…).  L’immagine della vigna nell'A.T. viene usata anche da Dio per raccontare quanto si prenda cura del proprio popolo, come avviene nei Salmi” (don Filippo Belli, biblista e docente di Sacre Scritture presso l'Università di  Firenze).“…vino che allieta il cuore dell'uomo, olio che fa brillare il suo volto e pane che sostiene il suo cuore”: questi sono i doni di Dio che indicano la prosperità, come ci ricorda il Salmo 104, al versetto 15.Nel Nuovo Testamento si attribuisce al vino un significato nuovo, ancora più profondo, legato al sangue di Cristo versato sulla Croce e segno tangibile della Sua presenza nella Chiesa. Il vino, “frutto della vite e del lavoro dell'uomo”, è anche il segno più evidente e più luminoso della collaborazione tra l'uomo e Dio e per questo diventa fonte di gioia per l'uomo ma anche per Dio.Come non aspettarsi, allora, attacchi furibondi dei nostri nemici spirituali per impedire e distruggere tutto questo? L’A.T. infatti è pieno anche di moniti e di esempi eclatanti a questo proposito. Abbiamo ricordato già Pr. 23, 29-35; ma ancora il Signore ci dice: “Ascolta figlio mio e sii saggio e indirizza il tuo cuore sulla via retta. Non essere tra quelli che si inebriano di vino, né tra coloro che sono ingordi di carne, perché l'ubriacone e l'ingordo impoveriranno e di stracci li rivestirà la sonnolenza” (Pr. 23, 19-21).E ancora: “Il vino è beffardo, il liquore è tumultuoso, chiunque si perde dietro ad esso non è saggio” (Pr. 20, 1).Ricordiamo la storia di Lot che, ubriacato dalle figlie, venne indotto all'unione incestuosa da cui nacquero Noab e Ben-Ammi, capostipiti dei Noabiti e degli Ammoniti (Gen. 19, 30-38) e quella di Noè che, sceso dall'arca, piantò la vite ma bevve fino ad ubriacarsi commettendo peccato (Gen. 9, 20-25).Per focalizzare quanto accade oggi ci atterremo prevalentemente all'approfondimento scientifico dal titolo  “Il consumo di alcool e patologie correlate: danni ed effetti”, aggiornato al 31 luglio 2018 e realizzato in collaborazione con l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma da “Dove e Come Mi Curo”, primo portale di Public Reporting che, dal 2013, fornisce informazioni in ambito sanitario. Per definizione la dipendenza alcolica è caratterizzata da un comportamento ossessivo di ricerca compulsiva di bevande alcoliche ma anche da assuefazione, infatti, per raggiungere un determinato effetto desiderato, si è costretti a bere quantità sempre maggiori. Inoltre, come per qualsiasi altra forma di dipendenza, la brusca interruzione del consumo di alcool causa una pesante sindrome da astinenza (tachicardia, tremori, agitazione, scoppi d'ira etc.). Purtroppo gli effetti dell'alcolismo interferiscono in maniera gravissima sulla salute fisica della persona perché innescano numerose patologie, circa 200, compreso il cancro, riguardanti la quasi totalità degli organi, oltre ad essere considerati uno dei principali fattori di mortalità prematura tra i giovani fino ai 24 anni a causa della correlazione con gli incidenti stradali.“Parliamo quindi di un rilevante problema di salute pubblica, responsabile in Europa del 3,8% di tutti i decessi, 1 su 7 per gli uomini e 1 su 13 per le donne, e del 4,6% in termini di anni di vita persi per disabilità” (da: “Il consumo di alcool e patologie correlate: danni ed effetti").Però, per quanto riguarda l'Italia, secondo la relazione del 2018 del Ministro della Salute al Parlamento: “La stima puntuale del numero di alcoldipendenti nel nostro Paese ha finora presentato difficoltà di vario tipo e non esistono ancora dati ufficiali in merito. Per una valutazione del fenomeno è comunque utile tener conto,  fra gli altri elementi, del numero di alcoldipendenti in trattamento nell'ambito dei servizi psicologici pubblici nonché del numero dei soggetti e delle famiglie che frequentano a scopo riabilitativo di auto-mutuo aiuto o le associazioni no-profit che operano in collaborazione con gli stessi servizi pubblici o in maniera autonoma” (dalla relazione del Ministro della Salute al Parlamento sugli interventi realizzati ai sensi della legge 30-3-2001 n° 125, legge quadro “i materiali di alcoldipendenti e problemi alcolcorrelati” - 2018).Al di là del numero preciso degli alcolisti veri e propri, sempre secondo l'approfondimento scientifico già citato, in Italia sono all'incirca 1 milione i minori di 18 anni che ricevono o consumano bevande alcoliche disattendendo le linee guida dell’O.S.M. (Organizzazione Mondiale della Sanità) che indicano un consumo pari a zero per quella fascia di età. Per quanto riguarda la situazione dei nostri giovani in Puglia rimandiamo a quanto già indicato nell'articolo introduttivo “La notte più nera: le dipendenze”.Qui è utile ricordare che una Unità Alcolica (U.A.) corrisponde a circa 12 gr. di etanolo che, grosso modo, è la  quantità contenuta in una lattina di birra (330 ml.) o un bicchiere di vino (125 ml.) o un bicchierino di liquore (40 ml.).Sono considerati consumatori a rischio gli uomini che superano un consumo quotidiano di 2-3 U.A. (pari a 40 gr. di alcool) e le donne che superano un consumo quotidiano di 1-2  U.A. (20 gr. di alcool). Oltre a queste, di carattere generale, bisogna aggiungere altre indicazioni per specifici target di popolazione. Ad es. agli anziani e ai giovani tra i 16 -18 anni si raccomanda di non superare una U.A. al giorno; agli adolescenti al di sotto dei 16 anni se ne consiglia l'astensione totale. Ma da un'analisi per genere e classi di età risulta che il 12,2% dei ragazzi e l'8,4% delle ragazze al di sotto dei 18 anni sono a rischio. Le percentuali più elevate di consumatori a rischio di sesso maschile si registrano nella classe di età compresa tra i 65 e i 74 anni, pari al 42,9%, seguita dagli ultra 75enni (37,7%).Per le donne, invece, la variabilità per classi di età risulta meno rilevante, con valori minimi registrati nella fascia tra i 45 e i 64 anni.Si tratta dunque di un numero rilevante di persone che necessiterebbero di un intervento di identificazione precoce del problema e di sensibilizzazione verso i danni conseguenti un consumo abituale oltre i limiti raccomandati. È abbastanza chiaro che la dipendenza, allora, è solo la punta dell'iceberg, perché si sviluppa nel corso di un periodo più o meno lungo in coloro che hanno già un’abitudine al bere. Tant'è vero che l'O.M.S. sostiene: “Il modo migliore per ridurre l'insieme dei problemi sociali legati all'alcool è concentrarsi sul ridurre il consumo di chi è un bevitore moderato, anziché di chi è un forte bevitore”. E non ci sorprende neanche il dato secondo cui la maggioranza degli incidenti stradali, come dei comportamenti aggressivi legati all'alcool, non siano causati da persone con dipendenza manifesta, ma proprio da consumatori occasionali o da quelli cosiddetti “moderati”, “a rischio”.Si tratta allora di un problema sociale di proporzioni enormi, se consideriamo l'insieme dei consumatori borderline (quelli “a rischio”) e gli alcolisti acclarati. La pericolosità non è dovuta solo alla quantità eccessiva di alcool ingerito, ma anche alla modalità di ingestione che  può amplificare gli effetti negativi sulla capacità percettiva, cognitiva e di socializzazione della persona coinvolta. È il caso del “binge drinking”, il cosiddetto “nuovo sballo del sabato sera” che sta coinvolgendo in maniera esponenziale tanti nostri ragazzi. È una vera e propria abbuffata che prevede un consumo di almeno sei bevande alcoliche al di fuori dei pasti e in un arco di tempo relativamente breve per ottenere una veloce ubriacatura con perdita di controllo. Il termine “binge drinking” è dovuto a H. Wechsler ed è stato coniato nel 1992. È una pratica che espone le persone a rischi immediati per la salute, oltre a danni cronici: aumenta l'euforia e la disinibizione, ma espone anche a intossicazioni che possono provocare vuoti di memoria, cefalee, nausea, fino ad arrivare sempre più frequentemente a episodi di coma etilico. È del 12 Agosto 2019 la notizia del ritrovamento sul litorale di Rosa Marina (Br) di due ragazzi di 16 anni in coma etilico.Alcuni numeri: “Nel 2012 l'11,1% degli uomini e il 3,1% delle donne di età superiore a 11 anni ha dichiarato di aver consumato almeno una volta, negli ultimi 12 mesi, 6 o più bicchieri di bevande alcoliche in un’unica occasione, pari a oltre 3.750.000 persone di età superiore a 11 anni. Le percentuali di “binge-drinker” di entrambi i sessi aumentano a partire al di sotto dell'età legale (18 anni) e raggiungono i valori massimi tra i 18-24 anni (uomini 20,1%, donne 9,1%); oltre questa fascia di età, le percentuali diminuiscono nuovamente per raggiungere i valori minimi negli ultra 75enni (uomini 2,6%, donne 0,6%). La percentuale di “binge-drinker” tra i maschi è statisticamente superiore alle femmine in ogni classe di età” (da: “Il consumo di alcool e patologie correlate: danni ed effetti”).L'unico caso in cui il numero delle ragazze che bevono in maniera eccessiva supera di gran lunga quello dei ragazzi (8 persone su 10 sono femmine tra i 14 e i 17 anni) è quello della “drunkoressia”, di cui abbiamo parlato nell'articolo riguardante i problemi della nutrizione, perché, nonostante le moltissime coincidenze con il “binge drinking”, la “drunkoressia” è sostanzialmente indicativa di un problema con il cibo, come abbiamo già detto, in quanto si accompagna a frequenti restrizioni a livello alimentare al fine di poter assumere ingenti quantità di alcolici senza aumentare di peso.Ma come si arriva a tutto questo?  È ormai scientificamente provato che il consumo di alcool porta alla produzione di endorfine in aree cerebrali correlate alla sensazione di piacere e benessere. Ovviamente maggiore è il rilascio di endorfine,  maggiore è il piacere, ma è proprio il meccanismo del rilascio endogeno che spingerebbe ad un ulteriore consumo di alcool. Gli autori dello studio “Alcohol consuption induces endogenous opioid release in the human orbitofrontal cortex and nucleous”, pubblicato nel 2012 sulla rivista “Science Translational Medicine”, con una Pet  (Tomografia di emissione di positroni), hanno misurato l'effetto immediato dell'alcool nel cervello di 13 consumatori abituali e 12 soggetti di controllo non alcolisti. Semplificando al massimo, diciamo che con questo studio gli autori hanno dimostrato scientificamente che in tutti i soggetti l'assunzione di alcool porta al rilascio di endorfine, ma che ci sono anche delle evidenti differenze negli alcolisti rispetto agli altri, nel senso che nell'alcolista quanto più si beve tanto più aumenta il bisogno di bere per raggiungere l'effetto di benessere desiderato. Però questo studio dimostra anche che è possibile intervenire efficacemente nel trattamento del consumo di alcool con quei farmaci che, legandosi ai recettori  oppioidi, impediscono loro di produrre le endorfine: in pratica il farmaco (antagonista) può ostacolare fortemente l'attività dell'alcool (agonista) perché ne disattiva gli effetti bloccando le “risposte positive” dei recettori.Allora la vera, unica domanda da porsi è questa: perché tante persone (troppe, e di tutte le età) hanno un bisogno così forte, così disperato di un benessere che non riescono ad ottenere se non utilizzando l'alcool? A quali profondi disagi emozionali si cerca di porre rimedio? E perché proprio con l'alcool?Le motivazioni sono le più varie, ma per le ragazze si tratterebbe di sfuggire da stati depressivi e dalla solitudine, da un senso di vuoto, quindi l'alcool sarebbe più una sorta di compensazione a disagi emotivi intollerabili; i ragazzi invece vedrebbero l'alcool come un mezzo per divertirsi, un’opportunità  veloce per entrare a far parte di un gruppo e socializzare con i coetanei, ma anche come una possibilità per disinibirsi prima di un rapporto sessuale.Comunque cause psicologiche e cause ambientali sono così strettamente legate tra loro che generalizzare potrebbe essere deleterio e fuorviante. Per la gravità e la complessità del problema abbiamo ritenuto più opportuno evitare troppe teorizzazioni, portando direttamente la testimonianza di una persona che è ancora pericolosamente vicina ad una dipendenza vera e propria ma che sta comunque lavorando su di sé per venirne fuori, nella speranza che ci aiuti  a capire meglio alcune delle dinamiche sottese a questo tipo di comportamento d’abuso.La sig.ra M. è una donna ultracinquantenne, bevitrice “borderline”, che ci ha gentilmente concesso di pubblicare alcune pagine del suo diario personale, pagine che abbiamo lasciato così come sono per non perdere l'immediatezza e la freschezza di un discorso fatto a se stessa.“Dall'incontro di sabato col dott. D. (uno psicoterapeuta con il quale la sig.ra M. ha frequenti contatti, pur non seguendo una vera e propria psicoterapia, ndr) ho capito e ho avuto modo di sperimentare su di me il disagio dei sensi di colpa disfunzionali e dell’immediata ricerca di compensazione col vino. Quindi: disagio=compensazione. Il senso di colpa disfunzionale credo di aver capito come nasce. D. dice che da piccolissimi impariamo subito a trattenere, a reprimere  le nostre emozioni e i nostri bisogni quando ci rendiamo conto che provocano reazioni negative (infastidiscono la mamma!). E quando quello della mamma è un comportamento reiterato (e scriteriato, dico io) può succedere che ci costruiamo delle corazze fino al punto che non riusciamo più a manifestare neanche a noi stessi una nostra emozione perché abbiamo sperimentato che tutte le volte che il bambino ascolta se stesso poi sta male, è a disagio perché provoca le famose reazioni negative negli adulti e quindi vive tutto ciò come colpa. Quindi se questo dovesse occasionalmente succedere, come è successo a me sabato, ecco che si innescano i sensi di colpa che sono disfunzionali perché non servono a niente. Solo a tormentarmi.”.Noi dovremmo imparare a riconoscere i nostri bisogni ma, naturalmente, la vita ci porta spesso a non poterne tenere adeguatamente conto. D. dice che questo ci sta, purché non sia la regola. Il problema è che il bambino non riconosciuto e non accettato sarà un adulto che farà una fatica boia a riconoscersi e ad accettarsi, perché nella fase indagativa di sé si scontrerà anche con tutto ciò che non potrà più cambiare e cioè le sue fragilità, i suoi punti deboli che dovrà imparare a riconoscere e ad accogliere. Intanto riconoscere di essere dipendenti dall'approvazione degli altri è il primo passo per un percorso di guarigione; imparare a riconoscere i propri bisogni e non contare su nessuno all'infuori di sé per soddisfarli è il secondo. Ma è un percorso estremamente faticoso perché si lega strettamente ai famosi sensi di colpa disfunzionali.Allora io mi chiedo: la mia ricerca di compensazione è legata SOLO a queste circostanze specifiche, ai sensi di colpa disfunzionali, che tanto ancora mi tormentano, o “siccome funziona per questo la uso per tutto?”. Direi che per quel che mi riguarda OGNI disagio provoca ricerca di compensazione, allora il problema vero qual è? Che non so affrontare il dolore? Soprattutto quello psicologico? Però, perché se mi fa male la gamba cerco la compensazione e se fisicamente mi fa male qualche altra cosa, no? Forse perché il dolore alla gamba mi suscita anche rabbia? Allora la compensazione è legata SOLO al disagio emozionale? Non lo so, forse non ho capito ancora bene, forse sì.E comunque, come si può spezzare tutto questo?Altro punto dolente, il vino compensatorio quando cucino. Qual è il problema in quel frangente? Il vino ha sostituito la sigaretta (la sig.ra M. era una accanita fumatrice che ha smesso ormai da molti anni e mi racconta che non riusciva a cucinare senza contemporaneamente fumare).Forse l'emozione è plurima: a volte c'è rabbia perché  torno a casa e mi sento molto stanca e affaticata e anche a me piacerebbe sbattermi sulla poltrona e attendere che qualcuno mi chiami perché è pronto… ma andando più in profondità ci trovo una bella dose di ansia: M. pulisce in fretta - cucina in fretta – anticipa - si porta avanti e di solito… ci beve su…!! A parte la battuta, se mi prendessi tutto il tempo necessario a ME per allestire tutto questo onestamente non lo so se mi verrebbe in mente di prepararmi il bicchiere…Ho sempre detto che non amo cucinare e probabilmente è così perché fondamentalmente mi annoia, ma anche la noia è un'emozione… A me mi sa che in realtà c'è un unico e solo problema, ed è l'ansia. È l'ansia di sbrigarmi e anche questo modello mi viene da mia madre, con il suo famoso dedicare cinque minuti alla cucina per affrontare un intero pranzo… Quello che io inconsciamente ho assorbito è che fare il proprio dovere in fretta è un bene, è un valore e quella bambina alla disperata ricerca dell'attenzione di sua madre è diventata una donna che va – agisce - e ha sempre vissuto “in fretta”, alla ricerca dell'attenzione e dell'approvazione di tutti... In effetti per qualsiasi cosa io ho sempre bruciato le tappe. Mi resta da capire: perché si scelgono alcune compensazioni invece di altre? Ma in realtà si scelgono davvero? Comunque il dott. D. dice che l'alcool in qualche modo allenta i ritmi del cervello e per quel che mi riguarda ha perfettamente ragione, il vino pre-pasto mi serve per rallentare il ritmo che mi sono autoimposta. Ma perché nelle serate con gli amici se non bevo non mi diverto? Però… è vero, anche in queste circostanze quando bevo mi sento più rilassata… come prima, no? Quando fumavo… le sigarette mi aiutavano a rilassarmi, la sigaretta più difficile da dimenticare è stata proprio l'ultima, quella della notte, quando ero finalmente sola e la giornata era finita… allora è sempre stato un problema di ansia? Ma ansia di che? Di prestazione? Forse l’ansia è la mia scomoda compagna di viaggio di cui non mi sono mai resa bene conto prima…”.Questa testimonianza ci aiuta a comprendere alcuni punti, fondamentali, che ci consentono anche alcune generalizzazioni, se vogliamo, e cioè prima di tutto come noi adulti dovremmo prestare più attenzione alle nuove generazioni che chiedono con tutte le loro forze di essere ascoltate e considerate. Ed è ben difficile riuscire a immaginare quale futuro potranno mai costruire questi nostri ragazzi che oggi sono capaci solo di bere per divertirsi, o per socializzare, o per esprimere le  loro emozioni…In secondo luogo che gli adulti, incapaci invece di affrontare il peso delle inevitabili sofferenze della vita, sono stati probabilmente anche loro bambini inascoltati, imbavagliati, feriti e mai cresciuti, come la nostra sig.ra M. che riesce a liberarsi dall’ansia di vivere solo bevendo.E poi ci sono anche tutti coloro che, come lei, cominciano ad avere paura del bere ma sono ancora più terrorizzati all'idea di dover rinunciare a quella stampella che li ha tanto spesso aiutati ad affrontare la vita.Come possiamo aiutare questi nostri fratelli?Ferma restando l'opportunità di rivolgersi presso i SerD (Servizi per le Dipendenze patologiche) presenti nelle varie Aziende Sanitarie di residenza, ci sono comunque diverse associazioni che nascono per aiutare tutti coloro che patiscono questo tipo di difficoltà. Parleremo di una in particolare, quella degli A. A. (Alcolisti Anonimi), un’organizzazione no-profit che nasce negli Stati Uniti nel 1935 grazie all'incontro di due alcolisti, Bill Wilson e Bob Smith, che erano riusciti a smettere di bere e cercavano di mantenere la propria sobrietà aiutandosi l'uno con l'altro. Diffusasi in oltre 160 paesi tra cui l'Italia, offre un programma spirituale di azione a persone che hanno problemi di dipendenza da alcool ma che, unica, imprescindibile condizione richiesta, sono seriamente intenzionate a smettere. Organizza riunioni con frequenza libera e totalmente gratuita dove alcolisti che hanno smesso di bere aiutano coloro che sono ancora in difficoltà mettendo in pratica il programma di recupero intitolato “il metodo dei 12 passi”: 12  step che aiutano l’alcolista a cambiare piano piano stile di vita e a trovare serenità consolidando nel tempo la sobrietà acquisita.Emblema di questa associazione è una bellissima preghiera che possiamo fare nostra per aiutare, per quel che possiamo, questi nostri fratelli in difficoltà ma che sicuramente può fare del bene anche a ciascuno di noi, senza dimenticare mai, anche nelle situazioni più complesse, che nulla è impossibile a Dio.È nota in tutto il mondo come “Preghiera della serenità”:“Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso e la saggezza per comprenderne la differenza.Vivendo un giorno per volta, assaporando un momento per volta, accettando la difficoltà come sentiero per la pace. Prendendo, come Lui ha fatto, questo mondo peccaminoso così com'è, non come io vorrei che fosse.Confidando che Egli metterà a posto tutte le cose, se io mi arrendo al Suo volere.Che io possa essere ragionevolmente felice in questa vita e infinitamente felice con Lui per sempre, nella prossima” (Reinhold Niebuhr).