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ATC: L'ascolto e l'accompagnamento comunitario

A volte nelle nostre comunità “portare il peso” significa soprattutto “sopportare” il fratello, ma chi “porta” sapendo di essere a sua volta portato dovrebbe trovare in questa consapevolezza la forza che lo sostiene in questo particolare servizio.
Ci sono, infatti, tante variabili che possono rendere estremamente difficile trasformare il “sopportare” in “supportare” il fratello e sono legate al nostro carattere, alla nostra indole, alla nostra storia: possono impedirci di trasformare in realtà vissuta quello che, in teoria, sappiamo essere il comportamento giusto da realizzare per servire il Signore attraverso i fratelli.
È un aspetto, questo, da non sottovalutare, infatti se le nostre parole non si fondano su un’autentica sopportazione, che diventa un autentico supporto offerto ai fratelli, scadremo inevitabilmente nell'impazienza e nello spirito di prevaricazione, quindi non saremo mai in grado di proferire vere parole di annuncio, di liberazione e di salvezza, così come perdiamo di credibilità se l’aiuto che diciamo di voler prestare è contraddetto da una scarsa reale disponibilità.
Ma, qualunque sia la nostra storia, il Signore ci educa a tutto questo perché con la preghiera, con il cuore costantemente rivolto a Lui, ci rendiamo disponibili alla grazia e la grazia ci permette di “imparare” il comportamento giusto dalla concretezza delle situazioni di difficoltà che  affrontiamo quotidianamente: la pazienza, come la mitezza, l'umiltà, l'obbedienza, la collaborazione, si impara da quelle occasioni di irritabilità, di orgoglio ferito, di difficoltà relazionali di ogni genere nelle quali ripetutamente ci imbattiamo e che, a questo punto, possiamo coraggiosamente  definire  “dono di Dio”.
In Eb. 5,8 di Gesù si dice: “imparò l'obbedienza dalle cose che patì…”, la stessa cosa è anche per noi, impariamo da ciò che ci fa soffrire.
Comprendiamo allora che i nostri fratelli, soprattutto quelli molesti, quelli che dovremmo arrivare a supportare, sono le esercitazioni viventi che il Signore ci dona per farci diventare come Lui, a Sua immagine e somiglianza, lenti all’ira e grandi nell'amore.
Piano piano, di errore in errore, ognuno con i suoi tempi, sapendo di poter contare sempre sull'infinita misericordia di Dio.
In ogni caso, oltre a sostenere e ad aiutare concretamente i fratelli, solo chi è fedele soprattutto nel servizio dell'ascolto è in grado di svolgere il compito più importante, che è quello dell'annuncio del regno di Dio. Infatti, se non ci siamo abituati ad un corretto ascolto, è difficile che la parola che diciamo sia quella giusta per l'altro.
L'ascolto vero, quello non giudicante, quello premuroso, nasce dall'amore incondizionato che proviamo per il fratello. Ovviamente è obiettivo da raggiungere ed è quasi superfluo ricordare che solo lo Spirito Santo, che è amore, può farci provare autentico amore, quindi, quanto maggiore è lo spazio che offriamo allo Spirito nel nostro cuore, tanto più grande sarà la nostra capacità di amare e di ascoltare.
Ma la realizzazione di tutto questo potrebbe non essere così lineare. L'antropologia cristiana ormai da tempo considera la persona umana come un insieme indissolubile di spirito, anima e corpo, questo significa che possiamo porre degli ostacoli ad un corretto ascolto di cui non siamo consapevoli e che non consentono una reale e costruttiva relazione fraterna. Sono impedimenti di origine psichica: affondano le loro radici in vecchie ferite emozionali mai risolte, o nel tipo di educazione ricevuta, o in stili di vita ormai troppo inveterati.
Solo la consapevolezza di sé unita alla fede ci può far superare questa impasse: la prima ci aiuta a riconoscere e a delineare l'eventuale problema, la seconda ce lo fa presentare al Signore perché ci guarisca.
In ogni caso in psicologia sono state messe a punto delle vere e proprie metodologie relative all'ascolto e in questo campo sono ancora fondamentali le conclusioni di Carl Rogers e Thomas Gordon, due psicoterapeuti americani appartenenti alla cosiddetta Società Americana di Psicologia, fondata da Rogers insieme ad Abraham Maslow, definita anche “terza forza” perché si affianca alle scuole di Comportamentismo e alla Psicanalisi.  A Rogers dobbiamo la definizione di “ascolto attivo”: si tratta di una tecnica semplice che, quasi sempre nel silenzio delle parole, c’ insegna come fare a comunicare che quanto l'altro ci dice in quel momento è importante per noi.
Gordon, invece, ha strutturato il cosiddetto “metodo Gordon”, ancora oggi largamente in uso: un sistema completo proprio per la creazione e il mantenimento di relazioni efficaci. Consiste nell'analisi di alcune reazioni all'esposizione di un problema che si trasformano in vere e proprie barriere comunicative quando urtano la sfera emozionale, perché diventano immediatamente “linguaggio della non-accettazione”.  
Sono 12 reazioni-tipo che trasformano una relazione confidenziale, che per sua natura dovrebbe mantenersi simmetrica, cioè con due persone sullo stesso piano e in sintonia, in una relazione asimmetrica, lì dove il confidente, in inferiorità, è di fatto urtato dall'atteggiamento di chi riceve la confidenza.
In estrema sintesi, secondo Gordon le 12 barriere comunicative sono determinate da questi tipi di risposta:
1) RISPOSTA CON COMANDO:
“tu devi”, “tu farai”, “bisogna che tu…”: questo tipo di risposta esige qualcosa, dirige; al problema del fratello si risponde con autorità, senza indagare i veri motivi del disagio, senza preoccuparsi del bisogno dell'altro oppure sottovalutandolo in modo negativo. Il messaggio che passa è che, alla fine, ciò che il fratello ha da dire non ci interessa (es: “tu devi partecipare al corso di formazione e basta!”).
2) RISPOSTA CON MINACCIA:
si ha quando il tentativo di esporre un problema viene zittito e subordinato ad una eventuale conseguenza, bloccando così ogni esposizione del disagio (es: “se non partecipi ai corsi di formazione non ti si potrà più considerare un vero effusionato”).
3) RISPOSTA CON SENTENZA:
è quel predicozzo che fa sottintendere al fratello la sua incapacità nel fare una determinata cosa e che, il più delle volte, esprime un giudizio morale (es: “le persone veramente innamorate del Signore non avrebbero nessun dubbio a partecipare alla formazione”).
4) RISPOSTA CON SOLUZIONE:
all'esposizione del suo problema il fratello riceve una risposta inutile proposta come soluzione. Il messaggio che passa è che l'altro non vuole condividere l'esigenza del soggetto di approfondire le ragioni di un disagio interiore (es: “iscriviti lo stesso al corso di formazione e non pensarci più, vedrai che poi ti troverai bene”).
5) RISPOSTA CON SPIEGAZIONE:
è una risposta che “eccepisce” qualcosa e chiude, con questo, ogni possibilità di riflessione e sicuramente ogni dialogo (es: “ecco perché tu non vuoi partecipare al corso di formazione, perché hai ancora una mentalità mondana…”).
6) RISPOSTA CON CRITICA:
insinua una valutazione di incompetenza, di inferiorità che interrompe ogni dialogo perché il fratello teme un rimprovero, è indotto per questo a nascondere i propri sentimenti e reagisce o accettando il giudizio e dunque autosvalutandosi (“io sono una persona sbagliata”), o attaccando (“senti chi parla…”). La risposta con critica è del tipo: “se non fai formazione non ti comporti proprio come un vero effusionato…”.
7) RISPOSTA CON ELOGIO:
un elogio eccessivo suona falso e spaventa il fratello perché teme di essere manipolato e tutto ciò causa ansia e disappunto (es: “tu sei tanto bravo… sei il più carismatico di tutti… sei un punto di riferimento per la comunità… vedrai che alla fine non ti sarà pesato più di tanto…”).
8) RISPOSTA CON ETICHETTA:
è una risposta che implica svalutazione e le etichette possono avere effetti devastanti (es: “sei un miscredente…”; “non cambi mai, sei sempre il solito…”).
9) RISPOSTA CON DIAGNOSI ED INTERPRETAZIONE:
sono risposte sempre minacciose e frustranti, perché se la diagnosi è corretta il fratello si mette sulla difensiva, se è frettolosa e sbagliata si sente incompreso (es: “il vero problema tuo è che (…) perciò non vuoi più fare i corsi di formazione”).
10) RISPOSTA CON COMPASSIONE/CONSOLAZIONE:
questo tipo di reazione lascia intendere o che il fratello sta esagerando i termini del problema oppure, peggio, che chi ascolta non vuole sentire che il fratello è in crisi, è confuso, spaventato (es: “ma che dici, non è niente, fatti coraggio, prima o poi ci passano tutti…”).
11) RISPOSTA INQUISITORIA:
se nella relazione il fratello si sente sottoposto ad interrogatorio che interrompe l'esposizione può succedere che avverta l'altro troppo invadente e quindi emotivamente poco partecipe (es: “E da quando hai cominciato? ... Cosa è successo di preciso? ... Ti era mai capitato prima? ...”).
12) RISPOSTA CON ELUSIONE:
chiude ogni tipo di dialogo perché il fratello si sente irrilevante. Minimizzando il problema e cambiando subito discorso si scoraggia chiunque ad aprirsi quando si trova in difficoltà (es: “ma non è niente, piuttosto hai…?”). Il fratello in difficoltà percepisce che quello che gli accade non è importante.
In pieno clima rogeriano, anche per Gordon l'ascolto autentico parte dal silenzio accettante, interessato, che permette al fratello di esporre il suo problema senza interruzioni ed evita a chi ascolta di incorrere in una delle 12 barriere. È un silenzio accompagnato da cenni vari che esprimono attenzione o da brevi espressioni facilitanti.
Per Rogers è altrettanto importante, alla fine dell'esposizione, la “riformulazione”, cioè il sollecitare il fratello con domande che non ripetono i fatti con le stesse parole ma che nella loro formulazione, oltre ad offrire eventualmente altri punti di vista, riescono a far comprendere che è stata colta l'essenza delle emozioni legate al problema e fanno percepire al fratello di essere oggetto di attenzione, di non subire valutazioni negative e di essere accettato e compreso.
Ma, per tutti, ci sono quattro condizioni di partenza imprescindibili per poter realizzare un ascolto autentico e relazioni stabili:
  • l’empatia, intesa come capacità di mettersi nei panni dell'altro cogliendone le emozioni;
  • la considerazione positiva, cioè il cercare il bene della persona;
  • l’accettazione incondizionata, che significa sospensione di ogni giudizio;
  • l’autenticità, cioè la consapevolezza di sé, la capacità di ascoltarsi per essere sempre se stessi, in grado di riconoscere, senza giudicarle, prima di tutto le proprie emozioni, per comprendere meglio quelle degli altri.
È sorprendente rendersi conto che è esattamente quanto ci propone il Vangelo da circa 2000 anni!